La salsa di soia è un condimento originario della Cina, dove è conosciuta da più di 2000 anni. La salsa di soia fu introdotta in Giappone nel VII secolo dai monaci buddisti. La tradizione prevede che venga preparata a partire da una miscela di fagioli di soia e di grano, a cui viene aggiunto un lievito o una muffa, per poi lasciare a fermentare il composto fino a ottenere un liquido di colore ambrato, con una tonalità bruno-rossiccia più o meno scura. Il sapore deciso e molto salato di questo liquido lo rende il condimento ideale per insaporire il riso bianco o per marinare carne e pesce prima di cuocerli alla griglia. Inizialmente il suo utilizzo era circoscritto alla cucina dell’Asia orientale, ma oggi è diffusa nel mondo intero.
Partendo dagli stessi ingredienti di base (fagioli di soia, grano, sale, acqua e agenti fermentanti), si possono ottenere salse molto diverse tra loro, a seconda della quantità di ingredienti utilizzati e dei metodi di lavorazione.
Le salse di soia di migliore qualità sono ottenute con una fermentazione naturale attivata grazie alla presenza di un lievito o una muffa (il più delle volte viene utilizzato l’Aspergillus). Durante la fermentazione le proteine della soia e del grano subiscono una graduale trasformazione, e dopo un lasso di tempo che varia da 5 a 8 mesi si ottiene una pasta che viene sottoposta a spremitura. Il liquido che se ne ricava viene pastorizzato e infine imbottigliato. È molto semplice riconoscere le salse prodotte in modo tradizionale: sulla loro etichetta è riportata la dicitura “Naturally brewed” (“fermentazione naturale”), e la lista degli ingredienti è molto più breve rispetto a quelle industriali.
Un altro metodo di preparazione si avvale dell’idrolisi chimica, ossia impiega calore e acido cloridrico per scomporre la soia e il grano. È un processo molto più rapido ed economico rispetto al metodo tradizionale, ma il prodotto finale è molto meno saporito e aromatico. Per questa ragione ad esso vengono aggiunti coloranti, aromi artificiali e spesso anche zucchero. In Giappone queste salse di soia prodotte chimicamente non possono essere denominate “salsa di soia”, ma nel resto del mondo non viene applicata questa restrizione. In questo caso sull’etichetta dovrebbe comparire la dicitura “proteine di soia idrolizzate”, o “proteine vegetali idrolizzate”.
Le salse di soia prodotte nei vari paesi sono molto diverse tra loro per quanto riguarda colore, consistenza e gusto. In Giappone il tipo più diffuso si chiama “ koikuchi shoyu”, ha un colore bruno-rossastro e un aroma piuttosto forte. È questo il tipo di salsa più comunemente adoperato nel mondo. La salsa di soia prodotta in Cina è spesso contraddistinta dai termini “dark” (scura), o “light” (leggera). Il primo tipo è più denso e dolce, e viene utilizzato soprattutto in cucina. La salsa di soia leggera, più fluida e salata, è utilizzata prevalentemente come salsa da pinzimonio.
La salsa di soia è un prodotto fermentato. Col passare del tempo tende a ossidarsi, e il suo colore diventa man mano più scuro. Io utilizzo spesso la salsa di soia, perciò la conservo nella dispensa, visto che non la lascio lì a lungo. Ma chi non la utilizza di frequente, dopo l’apertura può conservarla nel frigorifero, in modo da prolungarne la freschezza.
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